Paulo Coelho - Sulla Sponda del Fiume Piedra .pdf

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Paulo Coelho,
Sulla sponda del fiume
Piedra mi sono seduta
e ho pianto.
Titolo originale:
Na margem do rio Piedra eu sentei e chorei.
Traduzione di Rita Desti.
Copyright 1994 by Paulo Coelho.
Editora Rocco LTDA, Rio de Janeiro, 1994
1996 by RCS Libri & Grandi Opere S.p.A.
Per
I.C. e S.B., la cui comunione amorosa
mi ha fatto scoprire il volto femminile di Dio;
Monica Antunes, compagna della prima ora,
che con il suo entusiasmo e il suo amore
sparge il fuoco per il mondo;
Paulo Rocco, per l'allegria delle battaglie
che abbiamo sostenuto insieme e per la dignità
delle lotte che abbiamo combattuto tra di noi;
Matthew Lore, per non aver dimenticato
una saggia citazione da I Ching:
"La perseveranza è favorevole."
"Ma alla sapienza è stata resa
giustizia da tutti i suoi figli."
Luca, 7, 35
Nota dell'Autore.
Un missionario spagnolo stava visitando un'isola, quando
incontrò tre sacerdoti aztechi.
"Come pregate?" domandò loro.
"Abbiamo una sola preghiera," gli rispose uno. "Diciamo:
'Dio, tu sei tre, noi siamo tre. Abbi pietà di noi."'
"Una bella preghiera," disse il missionario, "ma non è
esattamente il tipo di preghiera che Dio possa ascoltare. Ve
ne insegnerò una migliore."
E il prete insegnò loro una preghiera cattolica. Poi prose-
guì nel suo cammino di evangelizzazione. Anni dopo, ormai
sulla nave che lo riconduceva in Spagna, si trovò a passare di
nuovo per quell'isola. Dalla tolda, vide i tre sacerdoti sulla
spiaggia e li salutò.
In quel momento, i tre cominciarono a camminare sulle
acque, verso di lui. "Padre! Padre!" chiamò uno, avvicinan-
dosi alla nave. "Insegnaci di nuovo la preghiera ascoltata da
Dio, perché non abbiamo saputo ricordarla!"
"Non importa," disse il missionario assistendo al miraco-
lo. E chiese perdono a Dio per non aver capito prima che il
Signore parlava tutte le lingue.
Questa storia esemplifica molto bene ciò che cerco di rac-
contare in questo libro. Raramente ci rendiamo conto che
siamo circondati da ciò che è straordinario. I miracoli avven-
gono intorno a noi, i segnali di Dio ci indicano la strada, gli
angeli chiedono di essere ascoltati. Ma noi abbiamo impara-
to che ci sono determinate formule e regole per avvicinarci a
Dio e quindi non prestiamo attenzione a nulla di tutto ciò.
Non comprendiamo che il Signore si trova là dove lo lascia-
no entrare.
Le pratiche religiose tradizionali sono importanti: ci con-
sentono di condividere con gli altri l'esperienza dell'adora-
zione e della preghiera. Ma non possiamo mai dimenticare
che l'esperienza spirituale è soprattutto un'esperienza pratica
dell'amore. E nell'amore non esistono regole. Possiamo ten-
tare di seguire dei manuali, di controllare il cuore, di avere
una strategia di comportamento. Ma sono tutte cose insigni-
ficanti. Decide il cuore. E quanto decide è ciò che conta.
Lo abbiamo provato tutti nella vita. In un qualche
momento, tutti abbiamo esclamato fra le lacrime: "Sto sof-
frendo per un amore per cui non vale la pena." Soffriamo
perché pensiamo di dare più di quanto riceviamo. Soffriamo
perché il nostro amore non è riconosciuto. Soffriamo perché
non riusciamo a imporre le nostre regole.
Soffriamo inutilmente, perché il seme della nostra crescita
sta proprio nell'amore. Quanto più amiamo, tanto più siamo
vicini all'esperienza spirituale. I veri illuminati, con l'anima
infervorata dall'amore, vincevano tutti i preconcetti dell'epo-
ca. Cantavano, ridevano, pregavano a voce alta, danzavano,
condividevano ciò che san Paolo ha definito la "santa follia".
Erano pieni di gioia, perché chi ama riesce a vincere il
mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è un
atto di totale abbandono.
Sulla sponda delfiume Piedra mi sono seduta e ho pianto è
un libro sull'importanza di questo abbandono. Pilar e il suo
compagno, personaggi fittizi, sono il simbolo dei numerosi
conflitti che ci accompagnano nella ricerca dell'Altro. Prima
o poi dobbiamo vincere le nostre paure, giacché il cammino
spirituale si compie attraverso l'esperienza quotidiana dell'a-
more.
Diceva il monaco Thomas Merton: "La vita spirituale si
riassume nell'amare. Non si ama perché si vuol fare il bene
di qualcuno, aiutarlo, proteggerlo. Agendo in questa manie-
ra, ci comportiamo come se vedessimo il prossimo come
semplice oggetto e noi stessi come esseri generosi e saggi. Ma
questo non ha nulla a che vedere con l'amore. Amare signifi-
ca comunicare con l'altro e scoprire in lui una particella di
Dio."
Che il pianto di Pilar sulla sponda del fiume Piedra possa
condurci sul cammino di questa comunione.
PAULO COELHO.
Sulla sponda del fiume Piedra
mi sono seduta e ho pianto. Narra la leggenda che tutto ciò
che cade nell'acqua di questo fiume. Ie foglie, gli insetti, le
piume degli uccelli, si trasforma nelle pietre del suo letto.
Ah, se solo potessi strapparmi il cuore dal petto e lanciarlo
nella corrente, allora non ci sarebbero più dolore né nostal-
gìa né ricordi.
Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto.
Il freddo dell'inverno mi ha fatto sentire le lacrime sul viso:
lacrime calde che si sono confuse con le acque gelate che
scorrono davanti a me. In qualche punto, il fiume si unisce
con un altro, poi con un altro ancora, finché, lontano dai
miei occhi e dal mio cuore, tutte le acque si confondono con
il mare.
Che le mie lacrime scorrano lontano, perché il mio amore
non sappia mai che un giorno ho pianto per lui. Che le mie
lacrime scivolino via, e solo allora dimenticherò il fiume
Piedra, il monastero, la chiesa sui Pirenei, la bruma, i cam-
mini che abbiamo percorso insieme.
Dimenticherò le strade, le montagne e i campi dei miei
sogni: sogni che mi appartenevano e che io non conoscevo.
Ricordo il mio istante magico, quel momento in cui un "sì"
o un "no" può cambiare tutta la nostra esistenza. Sembra che
sia accaduto tanto tempo fa, eppure è solo da una settimana
che ho ritrovato il mio amato e l'ho perduto.
Nelle sponde del fiume Piedra, ho scritto questa storia. Le
mie mani erano gelate, le gambe intorpidite dalla posizione,
e io avevo bisogno di fermarmi spesso.
Forse l'amore ci fa invecchiare anzitempo e ci rende giova-
ni quando la gioYentù è passata. Ma come non rammentare
quei momenti? Perciò ho scritto, per trasformare la tristezza
in nostalgia, la solitudine in ricordi. Perché, dopo aver rac-
contato a me stessa questa storia, io la potessi lanciare nel
fiume Piedra. Era questo l'insegnamento della donna che mi
ha accolto. Allora, per ricordare le parole di una santa, "le
acque avrebbero potuto spegnere ciò che il fuoco ha scritto".
Tutte le storie d'amore sono uguali.
Avevamo trascorso insieme l'infanzia e l'adolescenza. Lui se
n'era andato, come tutti i giovani se ne vanno dalle piccole
città. Aveva detto che voleva conoscere il mondo, che i suoi
sogni si proiettavano al di là delle campagne di Soria.
Per alcuni anni non ne ebbi notizia. Di tanto in tanto
ricevevo una lettera, e questo era tutto, perché lui non è mai
più tornato fra i boschi e sulle strade della nostra infanzia.
Quando terminai gli studi, mi trasferii a Saragozza. E sco-
prii che aveva ragione: Soria era una città piccola e il suo
unico poeta famoso aveva detto che solo camminando si può
percorrere un sentiero. Entrai all'università e mi fidanzai.
Cominciai a studiare per un concorso che forse non avrebbe
mai proclamato un vincitore. Lavorai come commessa, mi
pagai gli studi, fui bocciata al concorso, lasciai il mio fidan-
zato.
Le sue lettere, allora, cominciarono ad arrivare più fre-
quentemente e, vedendo i francobolli di paesi diversi, io pro-
vavo un po' d'invidia. Lui era l'amico più vecchio che sapeva
tutto, che girava il mondo, che si lasciava crescere le ali,
mentre io cercavo di mettere radici.
Inaspettatamente le sue lettere cominciarono a parlare di
Dio: provenivano sempre dallo stesso paese, la Francia. In
una di esse, mi disse che desiderava entrare in seminario e
dedicare la sua vita alla preghiera. Gli risposi chiedendogli di
aspettare, di vivere ancora la sua libertà, prima di impegnarsi
in qualcosa di tanto serio.
Quando rilessi la mia lettera, decisi di stracciarla: chi ero
per parlare di libertà e di impegno? Queste cose le conosceva
lui, non certo io.'
Un giorno seppi che stava tenendo un ciclo di conferenze.
Ne fui sorpresa perché mi sembrava troppo giovane per inse-
gnare qualcosa agli altri. Ma, due settimane fa, mi ha man-
dato un biglietto per dirmi che avrebbe parlato per un grup-
po ristretto di persone a Madrid. E ci teneva che fossi pre-
sente.
Ho viaggiato per quattro ore, da Saragozza a Madrid, per-
ché volevo rivederlo. Volevo ascoltarlo. Volevo sedermi con
lui in un bar, ricordare i tempi in cui giocavamo insieme e
credevamo che il mondo fosse troppo grande per essere
attraversato.
Sabato, 4 dicembre 1993.
La conferenza si teneva in un luogo più austero di quanto
avessi immaginato e c era più gente di quanta me ne aspet-
tassi. Non capivo come mai.
'Dev'essere diventato famoso,' ho pensato. Non mi aveva
detto nulla nelle sue lettere. Avrei voluto parlare con i pre-
senti, domandare loro che cosa stessero facendo lì, ma non
ne ho avuto il coraggio.
Sono rimasta sorpresa nel vederlo entrare. Era diverso dal
ragazzo che conoscevo. Ma, è chiaro, in undici anni le perso-
ne cambiano. Era più carino, e i suoi occhi splendevano di
una luce particolare.
"Ci sta restituendo ciò che era nostro," ha detto una
donna accanto a me.
Era una frase strana.
"Che cosa sta restituendo?" le ho chiesto.
"Quello che ci è stato rubato. La religione."
"No, non ce la sta restituendo," ha aggiunto una donna
più giovane, seduta alla mia destra. "Non si può restituire
quanto ci appartiene."
"Allora lei, che cosa sta facendo qui?" ha domandato irri-
tata la prima donna.
"Voglio ascoltarlo. Voglio vedere come la pensano, perché
in passato ci hanno già messe al rogo e potrebbero volerlo
fare ancora."
"Lui è una voce solitaria," ha detto la donna. "Sta facendo
il possibile."
La giovane ha sorriso ironicamente; poi si è girata, per
chiudere la conversazione.
"Per un seminarista, è un atteggiamento coraggioso," ha
proseguito la donna, guardandomi come per cercare un con-
senso.
Io, che non ci capivo niente, sono rimasta in silenzio, così
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