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Manzoni e I promessi sposi

Manzoni e I promessi sposi (1)

Fermo e Lucia: tra il 1821 e il 1823 Manzoni inizia la storia che ha come protagonisti Fermo Spolino e Lucia Zarella.

I promessi sposi 1827: Manzoni modifica il titolo ma anche il testo, togliendo parti, spostando o riscrivendo episodi. Si tratta di un intervento contenutistico.

I promessi sposi 1840: Manzoni "risciacqua i panni in Arno", cioè rivede il romanzo dal punto di vista linguistico, modificando l'idioma prima misto di forme lombarde e francesi con il "fiorentino" "vivente/parlato" delle classi medie. La scelta è di ordine culturale: il Paese, non ancora unito e privo di capitale, non ha una parlata comune; ma come per la Francia si assume per convenzione il linguaggio parigino, così sembra opportuno all'autore riconoscere l'egemonia di Firenze sul piano letterario (a Firenze e dintorni sono nati o vissuti Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli…)

 

perché la scelta del romanzo? Questo genere era molto in voga nell'Ottocento; in particolare, Walter Scott era considerato l'"inventore del romanzo storico", avendo composto l'Ivanhoe, ambientato in un'epoca passata (la storia di un cavaliere  nell'Inghilterra del XII sec., al tempo di Riccardo Cuor di Leone). Manzoni vi trovò molti difetti, soprattutto una ricostruzione poco attenta e precisa, ma fu senza dubbio influenzato da questo "modello" nella decisione di scrivere un romanzo storico.

 

I protagonisti sono due popolani: solitamente ci si avvaleva della tragedia per raccontare le vicende di personaggi di "alto affare" (nobili, aristocratici…vedi Adelchi per es.) e invece della commedia per trattare di gente umile o comune (vd. titolo Comedia di Dante).

Manzoni introduce nel romanzo – e ciò costituisce nel nostro Paese una novità di portata rivoluzionaria – due protagonisti del mondo socialmente "basso", con le loro aspettative e delusioni non ridicolizzate (come si faceva nella commedia o nella satira), bensì trattate seriamente.

 

Un pubblico allargato: probabilmente la scelta del genere romanzesco è dovuta anche ad un altro intento, quello di rivolgersi a un pubblico più vasto, non solo elitario e nobile; già in epoca illuministica infatti il lettore appartiene alla borghesia e l'interlocutore cui si rivolge lo scrittore è dunque il ceto medio.

Manzoni in questo caso è d'accordo con quanto teorizzava il Berchet nella sua Lettera semiseria, che cioè l'autore dovesse scrivere per il "popolo", intendendo con questo termine però non tutti, bensì quelli che il Berchet diceva essere in mezzo fra Parigini (nobili oziosi e annoiati) e Ottentoti (contadini o ceti umili, rozzi, incapaci per giunta di leggere o apprezzare l'arte). Il ceto medio è appunto, in pieno Ottocento, ciò che si definisce pubblico "popolare".

 

Ambientazione nel '600: quando Manzoni sceglie il Seicento (la vicenda di Renzo e Lucia si svolge fra 1628-1629 circa) intende riferirsi ad una situazione passata che però ricorda quella presente. 

In genere i Romantici si rapportavano ad epoche lontane (esotismo temporale), ma Manzoni sceglie deliberatamente il XVII sec., allorché la Lombardia subiva la dominazione spagnola, per alludere ai soprusi che la nostra penisola era costretta a sopportare per opera degli stranieri in pieno XIX sec.

Insomma, quando racconta le ingiustizie perpetrate dagli Spagnoli ai danni dei Lombardi del 1630, quando  presta attenzione alla mancanza di leggi, agli arbitri, alle violenze dei signorotti del XVII sec., sta pensando ad una situazione analoga determinata nel suo presente dai nuovi dominatori (gli Austriaci per es.).

 

Cosa s'intende per narratore onnisciente? Il narratore onnisciente è, etimologicamente parlando, colui che "sa tutto", che conosce passato, presente e futuro, tutte le circostanze dei fatti (ha "il punto di vista di Dio"!) e interviene continuamente con spiegazioni e riflessioni, commenti e giudizi.

Manzoni ci presenta un narratore di questo tipo, che "entra" nel racconto con analessi (quando spiega per es. i  precedenti di fra Cristoforo e di Gertrude) o con prolessi (anticipazioni di ciò che avverrà).

Questa scelta rivela un saldo dominio della realtà, l'idea che del mondo e degli avvenimenti si abbia una visione precisa, determinata da convinzioni certe: è tipica dell'Ottocento, almeno della prima metà del secolo, soprattutto di coloro come Manzoni che hanno punti di riferimento stabili (fede, concetto che il dolore "ha un senso", che tutto rientra in una logica provvidenziale, che tutto è logos = ordine e razionalità, nulla è casuale e gratuito).

Nel Novecento assistiamo alla crisi del narratore onnisciente: questi – si pensi a "La coscienza di Zeno" di Svevo – diviene addirittura inattendibile, ingannevole, a testimoniare la perdita di certezze (non solo religiose, ma anche relative, che so, ai concetti di tempo, di spazio, di "io" come unicum…) cui si assiste progressivamente già a partire dalla fine del XIX secolo.

 

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